Affrontare la crisi: lo strano caso di Hp e Starbucks

 

Luigi Paraboschi

Come reagire alla crisi economica in cui siamo piombati dal 2008? E’ questo il principale problema che si trovano ad affrontare oggi le aziende. Sappiamo tutti che non esistono ricette “magiche” o scorciatoie per risolvere questioni così complesse; ma può essere utile provare a vedere come funzionano sul campo gli approcci strategici messi in atto da alcuni leader mondiali. Ascoltiamo allora cosa ha da raccontarci in proposito Luigi Paraboschi, una vita passata oltreoceano, per anni Vice President of Finance di HP prima di tornare in Italia per iniziare una nuova carriera da consulente aziendale.

In questa intervista Luigi spiega come due giganti mondiali del calibro di HP e Starbucks hanno affrontato la crisi: un copione per molti versi già visto, ma con alcune interessanti specificità e un finale decisamente a sorpresa.

Esiste una strategia efficace per affrontare la crisi?

La risposta che due aziende americane come Hewlett Packard e Starbucks hanno dato alla crisi economica ci offre importanti elementi di riflessione. Hewlett Packard, leader mondiale nella vendita di prodotti e servizi informatici, si è concentrata sulla riduzione dei costi. Una volta identificati standard di eccellenza mondiali (costo per addetto oppure costo della funzione in percentuale dei ricavi), si è scoperto che HP aveva costi eccessivi, appesantiti da servizi aggiuntivi per i dipendenti che variavano per regione e Paese. L’azienda ha quindi centralizzato tutte le proprie funzioni, uniformando i servizi offerti in un’unica piattaforma in tutto il mondo, eliminando tutte le inefficienze strutturali derivate dalla crescita vertiginosa degli anni ’80 e ’90 e allineando il trattamento dei dipendenti allo standard prevalente per aziende delle stesse dimensioni. Il contributo finanziario di queste azioni è stato enorme, in termini di svariati miliardi di dollari. Il profitto dell’azienda è aumentato di parecchi punti percentuali, un successo imputabile direttamente e senza ombra di dubbio a questa strategia e alla sua esecuzione.

Qual è stata invece la scelta di Starbucks?

Starbucks, leader americano del caffè, ha seguito un approccio in apparenza molto simile a quello di HP. Anche Starbucks si è concentrata sulla ottimizzazione della propria struttura interna, realizzata tramite il conseguimento di efficienze, la ristrutturazione del sistema di distribuzione logistica e la chiusura di parecchie centinaia di negozi con un rendimento inferiore alla media. In aggiunta a questa strategia di riduzione dei costi, il fondatore e amministratore delegato Howard Schultz ha definito altre due strategie complementari. La prima focalizzata sulla creazione di nuove aree di espansione degli affari, che risulta essere piuttosto ovvia per una azienda che è ancora  giovane, concentrata sul mercato nordamericano e con notevoli possibilità di ampliare il proprio portafoglio di prodotti e servizi. La seconda decisamente più inusuale e, nella mia opinione, importantissima per bilanciare e rafforzare le altre due. Shultz ha rilanciato la cultura aziendale fondata sulla creatività e senso di imprenditorialità di ogni dipendente, uscita appannata dai troppi anni dedicati solo ed esclusivamente alla crescita e alla apertura di nuovi negozi. Il risultato di questi sforzi si è concretizzato in nuove linee di prodotto come un caffè instantaneo e un caffè con un gusto più delicato, in un nuovo concetto di negozio basato su salute e benessere, in un programma sociale sponsorizzato da Starbucks teso a creare nuovi posti di lavoro negli USA.

Un programma ambizioso… Che reazioni ha suscitato?

Al picco della crisi l’opinione comune di tutti gli analisti finanziari era che Starbucks non avesse altra soluzione che rassegnarsi a ridurre i propri prezzi, per allinearli a quelli della concorrenza; doveva quindi ridurre proporzionalmente i costi per mantenere inalterato il margine. Shultz ha seguito questi suggerimenti solo in parte: ha ridotto drasticamente i costi, ma nello stesso tempo ha lavorato sui valori culturali, dando ai dipendenti un senso di appartenza a un’azienda vincente sul mercato e vincente anche come profilo sociale. Nelle parole di Shultz: “Non si può creare valore di lungo termine per gli azionisti senza creare valore di lungo termine per i dipendenti e per le comunità che l’azienda serve”.

Insomma, tra HP e Starbucks chi ha avuto ragione?

I risultati di queste due strategie parzialmente coincidenti sono stati drammaticamente diversi. HP, come già detto, grazie al taglio dei costi ha ottenuto incredibili miglioramenti della redditività: il valore dell’azienda dal 2005 al 2008 è più che raddoppiato. Nello stesso periodo Starbucks ha ottenuto un risultato simile nel 2005 e 2006, grazie alla apertura di nuovi negozi in tutto il mondo. La crisi del 2008 ha dimezzato il valore di HP, ma ha impattato Starbucks in anticipo e con più severità, portandola addirittura al di sotto del valore del 2005.

Come sono andate le cose dal 2009 a oggi?

Negli ultimi 3 anni, dopo un temporaneo miglioramento dovuto a un ulteriore sforzo di riduzione dei costi, il valore di HP è sceso di nuovo a un livello peggiore del 2008 e, di fatto, corrispondente a quello del 2005. Il valore di Starbucks invece ha continuato a crescere e ora è raddoppiato rispetto a quello del 2003 e anche rispetto al valore odierno di HP.

Che insegnamenti possiamo trarre da questa doppia case history?

Ovviamente sarebbe oltremodo semplicistico se non errato definire correlazioni univoche. Credo tuttavia che l’errore di HP sia stato quello di pensare di risolvere tutti i problemi attraverso una drastica riduzione dei costi, condizione certo necessaria ma non sufficiente. La politica attuata ha portato a una discesa a livelli record della motivazione: da qualche anno ormai, secondo un annuale questionario anonimo interno, la maggioranza dei dipendenti accetterebbe un lavoro simile per un’ identica paga in un’altra azienda! La mossa vincente di Starbucks è stata invece quella di integrare la riduzione dei costi con altre iniziative focalizzate sulla crescita e, soprattutto, sul rafforzamento della cultura interna, puntando sul coinvolgimento dei dipendenti nel partecipare a costruire il futuro dell’azienda.

In conclusione…

La trasformazione di HP ha ottenuto nel breve periodo risultati eclatanti, ma si è anche inaridita presto: non ha avuto un seguito, non ha costruito valore nel lungo periodo e ha riportato di fatto l’azienda ai livelli del 2005. La trasformazione di Starbucks è stata più complessa, più equilibrata, si è articolata su più elementi e si fonda su principi che porteranno nel tempo a un aumento del valore dell’azienda.

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1 commento su “Affrontare la crisi: lo strano caso di Hp e Starbucks”

  1. Il confronto è interessante e propendo anch’io per le conclusioni cui è arrivato Luigi Paraboschi.
    La passione e la motivazione sono elementi chiave nella vita dell’impresa. Qualsiasi strategia (di espansione, di riduzione dei costi o di altra natura) è destinata a produrre solo risultati parziali o contrastanti senza i due ingredienti della passione e della motivazione.
    Questione ovviamente non da poco, che non si risolve con qualche team building, ma tocca il cuore dell’impresa: lo stile del management, la qualità dei prodotti, la loyalty nei confronti dei consumatori, etc…

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