Non sono un esperto di Intelligenza Artificiale. In questo periodo, come tanti di noi, sto cercando di capire e di riflettere sull’impatto dei cambiamenti che stiamo vivendo.
Leggo molti articoli, cerco di ascoltare le persone che ne sanno davvero, mi confronto con colleghi e clienti.
La scorsa settimana ho fatto anche un’altra cosa: ho chiesto ai miei studenti della Artwood Academy di fare un’indagine su ChatGPT e poi di presentare quanto avevano appurato nelle loro ricerche, mettendole a confronto con le mie.
È stato, a tutti gli effetti, un modo per utilizzare l’intelligenza collettiva dell’aula nell’esplorare opportunità e problemi derivanti dall’utilizzo dell’AI.
Ecco cosa abbiamo trovato.
ChatGPT, L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE DEL MOMENTO
ChatGPT è un software pensato per conversare con gli utenti attraverso una chat e generare contenuti testuali d’ogni tipo: può scrivere saggi, comporre poesie, spiegare concetti complessi, rispondere a domande, suggerire ricette o destinazioni per le vacanze.
Questi risultati ragguardevoli il sistema li produce non perché è in grado di pensare, ma perché può attingere a un database contenente miliardi di dati e di conversazioni. Ed è la sua velocità di risposta che lo rende un supporto utile in moltissimi campi.
ChatGPT è soltanto una delle tante applicazioni dell’Intelligenza Artificiale: non è la più avanzata tra quelle disponibili, è solo la più potente tra quelle a cui abbiamo avuto accesso finora.
Il suo successo è stato travolgente: alla fine di gennaio 2023, a due mesi dal lancio, era già stata utilizzata da oltre 100 milioni di persone, diventando l’applicazione consumer a più rapida crescita della storia.
COME FUNZIONA ChatGPT
ChatGPT non pensa come facciamo noi: di fatto nei suoi risultati mixa e ricombina un gran numero di brani testuali e informazioni disponibili sul web. I testi che produce non sono basati sulla scelta dei significati, ma solo sulla probabilità statistica che a una certa frase ne segua un’altra.
Questa impostazione sconta limiti evidenti: ChatGPT può assemblare una serie di descrizioni e risposte arrivando a copiare pari pari testi già esistenti, senza preoccuparsi di citare le fonti e producendo veri e propri plagi. Dal punto di vista stilistico il risultato è abbastanza accettabile, ma non certo originale e brillante.
C’è il rischio che possa sostituire alcune professioni intellettuali? Sì e no. Finora ChatGPT ha sempre avuto bisogno della supervisione di un essere umano, che deve controllare l’accuratezza e l’attendibilità delle informazioni riportate, correggendo errori e imprecisioni. Si rivela una risorsa preziosa per svolgere tutte quelle mansioni (sbobinature, creazioni di elenchi, brevi descrizioni standard) che possono essere automatizzate, con grande risparmio di tempo.
L’IMPATTO DELL’AI SUI MOTORI DI RICERCA
Molti sostengono che prodotti come ChatGPT possano costituire un’importante alternativa per la ricerca in rete, mettendo in discussione lo strapotere di Google e dei suoi competitor.
Ma è proprio così?
In realtà è da un bel pezzo che Google sviluppa e utilizza a piene mani modelli di AI per l’analisi dei dati e la personalizzazione dei risultati da proporre all’utente.
La vera questione è un’altra: come gestire un nuovo paradigma, ricombinando la ricerca classica e veloce con una nuova modalità molto più personalizzata e profonda, alimentata da un dialogo costante tra l’utente e “l’esperto” che gli fornisce il servizio di informazione e “consulenza”.
Perché l’ambizione è quella di arrivare a dare a tutti le vere risposte che cercano.
Sarà molto interessante vedere nei prossimi mesi e anni in che modo l’utilizzo sempre più massiccio e diffuso dell’AI nei motori di ricerca cambierà la nostra esperienza utente e ridefinirà le regole della Seo.
I LIMITI DELLE APPLICAZIONI NEL B2B
In un loro articolo, Gordon Ritter e Jake Saper analizzano il ruolo che l’AI potrà svolgere nella risoluzione dei problemi aziendali, a patto che sia abbinata a modelli specifici di un determinato contesto e siano sempre le persone ad avere l’ultima parola.
L’AI è uno strumento fondamentale per aiutarci con la compilazione – che si tratti di parole, immagini o di un codice – e anche nel condensare e riassumere testi. Ci aiuterà a risparmiare tempo e, in generale, a migliorare la nostra comunicazione, sia nella nostra vita personale che lavorativa. Ma se ci affidiamo ciecamente, rischiamo di ottenere risultati generici e, spesso, sbagliati. Secondo Ritter e Saper, per tre ragioni.
1. L’Intelligenza artificiale non è abbastanza accurata
L’AI oggi sta solo imitando i trilioni di parole che ha macinato dopo averle prelevate dal web. Non tutto questo “cibo” è di qualità e quindi non tutto ciò che è generato può essere considerato affidabile.
Le attuali applicazioni aziendali dell’AI sono per lo più ottimizzate per la stesura di descrizioni, email e testi di ADS: tutte tipologie d’utilizzo in cui occasionali imprecisioni sono generalmente tollerabili. Ma per la maggior parte degli utilizzi aziendali, l’accuratezza è fondamentale e i risultati dell’AI devono essere sempre sottoposti alla supervisione umana.
2. L’Intelligenza Artificiale non è orientata ai risultati
ChatGPT può generare una raffica di slogan per un nuovo marchio di bevande, ma non può dirti quale funziona meglio. Questo perché l’interazione con il modello è una strada a senso unico: manca la capacità di apprendere continuamente in base ai risultati. Quando si tratta di B2B, le aziende hanno bisogno di qualcosa di più di un generatore di risposte, hanno bisogno di un’intelligenza artificiale guidata da risultati specifici per il loro settore.
3. L’Intelligenza Artificiale è ampia, non profonda
Le organizzazioni probabilmente non saranno disposte a condividere la loro proprietà intellettuale più preziosa con l’AI. Il vantaggio competitivo delle aziende risiede nei loro dati proprietari, ed è naturale che diffidino di modelli ampiamente distribuiti, che hanno accesso diretto (o anche indiretto) al loro IP. Le applicazioni Ai per il B2B dovranno dunque trovare un altro tipo di approccio.
Probabilmente la strada da percorrere sarà sfruttare il valore generico offerto dall’AI e abbinarlo alle competenze delle persone e alla proprietà intellettuale dei propri clienti, per generare in modo controllato risultati accurati, legati ai risultati e specifici di un preciso settore.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE: ORA DICO LA MIA
ChatGPT ha ancora molte difficoltà a comprendere il contesto di una conversazione o le sfumature del linguaggio umano. In parecchi casi, arrivano risposte scritte in modo corretto, ma che spesso suonano banali e ripetitive.
La qualità del risultato dipende in maniera decisiva dall’input che viene dato e dal nostro controllo e intervento diretto.
Per essere ancora più chiari: appena usciamo da situazioni standard per entrare in scenari complessi, che necessitano di informazioni personalizzate e di un preciso tono di voce, siamo noi a dover aiutare ChatGPT con le nostre competenze e la capacità che abbiamo di relazionarci con il nostro specifico interlocutore.
In realtà, è fallace la similitudine che si fa di solito tra il computer e il cervello umano: il nostro pensiero non può essere paragonato a un semplice flusso logico-informatico che circola nel software e che si basa sui dati, i programmi e gli algoritmi che vi sono stati introdotti.
Perché il nostro cervello non è un semplice sistema di elaborazione delle informazioni, e non si può concepire isolato dal nostro corpo, dalle nostre percezioni del mondo circostante e dalle esperienze di vita che facciamo.
È questo che ci rende unici e differenti da una macchina, per quanto definita “intelligente”.
ChatGPT è in grado di imitarci, ma non può sostituirci nelle nostre esperienze umane e professionali.
(Photo credits: Pixabay)