Il futuro dell’evoluzione tecnologica passa dall’Intelligenza Artificiale, un settore dell’Informatica che studia come dotare le macchine non solo di capacità di calcolo o di conoscenza di dati astratti, ma di forme d’intelligenza finora riconosciute come tipicamente umane.
L’espressione “intelligenza artificiale” risale al lontano 1956, quando l’informatico John McCarthy esprime l’ambizione di arrivare a descrivere tutti gli aspetti dell’intelligenza umana in modo tanto preciso da poterli implementare in una macchina.
Questa idea visionaria suscita grande entusiasmo, ma nei decenni successivi si scontra con la difficoltà di dare applicazione concreta a questa intuizione, al punto che da più parti si ritiene che, in realtà, le applicazioni concrete possano produrre solo risultati modesti.
Le cose cambiano con gli anni Novanta. Il primo squillo mediatico arriva da IBM, che mette a punto Deep Blue, un sistema di intelligenza artificiale in grado di sconfiggere nel 1997 in una sfida a scacchi il campione del mondo Garry Kasparov, uno dei più grandi scacchisti di ogni epoca. L’evento desta grande sensazione e riaccende l’interesse su questo settore dell’Informatica.
Arriva Amabot
Nel frattempo, fuori dai riflettori dei mass media, sta avvenendo una rivoluzione silenziosa. Nello stesso periodo, i tecnici di Amazon – una nuova azienda emergente nel settore della distribuzione di beni – mettono a punto “Amabot”, una serie di algoritmi che consigliano ai clienti nuovi libri o altri prodotti da acquistare. Risultato? Le recensioni e i consigli di Amabot si rivelano più efficaci di quelle dei redattori di Amazon, che vengono licenziati per essere sostituiti dal nuovo sistema.
Le scelte e i consigli del sistema non sono però frutto del ragionamento, e nemmeno dell’intuizione. Come spiega Nello Cristianini, informatico e professore di Intelligenza Artificiale presso l’Università di Bath:
Amabot non era animato da regole esplicite, né da alcuna comprensione dei clienti e dei contenuti: il suo comportamento dipendeva da relazioni statistiche scoperte nel database delle transazioni passate.
Il ciclone ChatGPT
Veniamo all’oggi. Recentemente sale agli onori della ribalta ChatGPT, una delle tante applicazioni dell’Intelligenza Artificiale. Il suo successo è subito travolgente: alla fine di gennaio 2023, a due mesi dal lancio, il programma è già utilizzato da oltre cento milioni di persone, diventando l’applicazione consumer a più rapida crescita della storia. Nel corso dell’anno sono circa 180 milioni le persone che lo utilizzano ogni mese.
ChatGPT è un software pensato per conversare con gli utenti attraverso una chat e generare contenuti testuali d’ogni tipo: può scrivere saggi, comporre poesie, spiegare concetti complessi, rispondere a domande, suggerire ricette o destinazioni per le vacanze.
Questi risultati ragguardevoli il sistema li produce non perché è in grado di pensare, ma perché può attingere a un database contenente miliardi di dati e di conversazioni. Ed è la sua velocità di risposta che lo rende un supporto utile in moltissimi campi.
Come pensa ChatGPT
ChatGPT non pensa come facciamo noi: di fatto nei suoi risultati mescola e ricombina un gran numero di brani testuali e informazioni disponibili sul web. I testi che produce non sono basati sulla scelta dei significati, ma solo sulla probabilità statistica che a una certa frase ne segua un’altra.
Una simile impostazione sconta limiti evidenti: l’applicazione può assemblare una serie di descrizioni e risposte arrivando a copiare pari pari testi già esistenti, senza preoccuparsi di citare le fonti e producendo veri e propri plagi.
Un punto di discussione è se ci possa essere o meno il rischio che arrivi a sostituire alcune professioni intellettuali. È difficile dare una risposta univoca, anche perché la situazione continua a evolvere con grande rapidità.
Finora, per ottenere risultati ottimali è ancora necessaria la supervisione di un essere umano, che deve controllare l’accuratezza e l’attendibilità delle informazioni riportate, correggendo errori e imprecisioni. La qualità del risultato dipende in maniera decisiva dall’input che viene dato e dal nostro controllo e intervento diretto. Se tutto questo viene fatto con competenza, le cose cambiano. La rivista scientifica Nature segnala che sono già in circolazione pubblicazioni accademiche in cui ChatGPT risulta come coautore: una cosa assolutamente impensabile fino a poco tempo fa.
Intelligenza artificiale vs. comportamento intelligente
E qui sorge un problema: come si può definire l’Intelligenza Artificiale? Secondo Cristianini, la domanda può essere fuorviante: meglio provare a definire cos’è un “comportamento intelligente”. Un agente artificiale, una macchina, un algoritmo, un robot, ma anche un organismo, si possono definire intelligenti se sono in grado di perseguire i loro obiettivi in modo autonomo.
In realtà, è fallace la similitudine che si fa di solito tra il computer e il cervello umano: il nostro pensiero non può essere paragonato a un semplice flusso logico-informatico che circola nel software e che si basa sui dati, i programmi e gli algoritmi che vi sono stati introdotti. Perché il nostro cervello non è un semplice sistema di elaborazione delle informazioni, e non si può concepire isolato dal nostro corpo, dalle nostre percezioni del mondo circostante e dalle esperienze di vita che facciamo. È questo che ci rende unici e differenti da una macchina, per quanto definita “intelligente”.
Piuttosto, come fa notare il filosofo Luciano Floridi, l’intelligenza artificiale non segna l’unione tra macchine e intelligenza umana, ma la separazione tra la capacità di agire con successo per uno scopo e la necessità di essere intelligenti per poterci riuscire. Abbiamo una tecnologia che riesce a risolvere problemi anche molto complessi, come l’ottimizzazione di alcune risorse o la riorganizzazione dei compiti di una fabbrica, senza che possegga un minimo d’intelligenza.
Abbiamo in mano forme di esecuzioni di problemi che sono sempre più potenti, ma non esiste ancora un adeguato quadro sociopolitico di controllo. È su questo punto che si deve correre ai ripari e intervenire al più presto.
*Il testo di questo articolo è tratto dal mio libro La nascita di Internet, uscito l’8 dicembre 2023 per RCS-La Gazzetta dello Sport.
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