John Hume, l’architetto dell’accordo di pace in Irlanda del Nord

Con coraggio, caparbietà e ammirevole lucidità, John Hume insegue per tutta la vita il sogno di far terminare lo scontro fratricida in Irlanda del Nord, in cui si fronteggiano unionisti (favorevoli al mantenimento della sovranità britannica) e repubblicani (favorevoli alla riunificazione con l’Irlanda).

La violenza è una sconfitta. Un errore. Sempre” ripete instancabilmente a tutti, convinto che i conflitti si possano risolvere solo con le armi della politica.

La sua sembra un’utopia irrealizzabile, in una regione dove per decenni imperversa una guerra civile sanguinosa che causa migliaia di morti. E invece quell’utopia alla fine si trasforma in realtà.

Una guerra civile terribile

La carriera politica di Hume inizia nel 1968 a Derry, quando da giovane insegnante cattolico diventa leader del movimento per i diritti civili.

Un anno dopo, viene eletto come candidato indipendente al Parlamento dell’Irlanda del Nord e nell’agosto del 1970 è tra i fondatori del Social and Democratic Labour Party (SLDP), un partito progressista e dichiaratamente nonviolento che lavora per la riunificazione dell’Irlanda, smarcandosi dall’estremismo del Partito Unionista dell’Ulster (UUP) e del Sinn Féin cattolico-repubblicano legato all’IRA.

Questa posizione politica incontra subito le simpatie dei cattolici contrari alla lotta armata e fa diventare in breve tempo l’SLDP la seconda realtà politica nordirlandese.

La tempesta però incombe minacciosa, arriva veloce e ben presto diventa inarrestabile.

Il 1972 è un annus horribilis, che fa registrare il più alto numero di vittime del conflitto anglo-irlandese: 497 persone uccise, quasi 5.000 feriti, oltre 2.000 esplosioni, una media di 30 sparatorie al giorno.

Ma queste stragi e le successive, che proseguiranno per molti anni, non fanno mai vacillare le sue convinzioni. Anzi, se possibile, le rafforzano.

Il primo tentativo di accordo

Nel dicembre del 1973, Hume è tra i promotori dell’Accordo di Sunningdale, che punta a creare un governo condiviso tra le due comunità nordirlandesi. Prospettiva particolarmente indigesta alle formazioni unioniste più estreme, che reagiscono proclamando uno sciopero generale selvaggio, capace di paralizzare completamente l’Ulster per quindici giorni.

Di lì in poi, la violenza torna a dilagare incontrollabile e da ogni parte, alimentata da un impressionante stillicidio di sanguinosi attentati.

In quegli anni tragici, Hume capisce che questo terribile conflitto, vissuto in un piccolo e periferico lembo dell’Europa, continuerà a consumarsi nella violenza senza trovare soluzioni, a meno che non lo si ponga sotto i riflettori della comunità internazionale.

In particolare, la sua attenzione è calamitata dagli Stati Uniti d’America, dove si trova la più nutrita comunità di origine irlandese: inizia a viaggiare e a tessere relazioni sempre più strette con il senatore democratico Edward Kennedy e gli uomini che lavorano a fianco del Presidente Carter.

Tutto questo senza far mai venire meno il suo instancabile attivismo nell’Ulster. A Derry, nel 1976 crea l’Inner City Trust, una fondazione composta da rappresentanti sia cattolici sia protestanti, che si prefigge l’obiettivo di evitare la devastazione della città causata dalla guerra civile.

La forza della nonviolenza

Nel 1983 Hume è eletto alla Camera dei Comuni ed entra a far parte del parlamento britannico, dove rimane ininterrottamente fino al 2005.

Nella sua veste ufficiale di rappresentante politico, critica duramente sia le violenze dell’esercito britannico e dei paramilitari protestanti sia quelle dell’IRA.

Una posizione tanto coraggiosa quanto scomoda, che lo fa finire nel mirino del movimento indipendentista irlandese, che prima dà fuoco alla sua auto e poi lancia bombe incendiarie contro la sua abitazione di Derry: lui in quel momento non è in casa, mentre la moglie e la figlia minore, che si trovano all’interno, riescono a salvarsi.

Nonostante questi episodi drammatici, Hume prosegue i contatti segreti con il leader del Sinn Féin, Gerry Adams; a poco a poco arriva a convincerlo che l’ideale nazionalista perseguito da entrambi ha maggiori possibilità di realizzarsi se si utilizzano mezzi pacifici.

I suoi ragionamenti politici sono lucidi, lineari ed efficaci:

“Quando un popolo è diviso come lo è il nostro, le vittorie non sono soluzioni. Non abbiamo bisogno di vittorie uno sull’altro, ma di un atteggiamento che permetta una soluzione valida per entrambi”.

Da questa dichiarazione si capisce chiaramente qual è l’Irlanda che sogna e per cui lotta incessantemente: un Paese indipendente, in grado di fare qualcosa di concreto per il proprio popolo e dove tutte le tradizioni possano convivere in pace.

L’Accordo del Venerdì Santo

Finalmente l’incessante lavoro di pacificazione intrapreso da Hume arriva a compimento e il 10 aprile 1998 si realizza l’Accordo del Venerdì Santo, che porta in Irlanda del Nord una pace destinata a rivelarsi duratura, anche se fragile.

Come è facile immaginare, trent’anni di guerra civile non possono che lasciare ferite profonde.

Ma è pur vero che quell’accordo ha salvato migliaia di vite umane e ha consentito all’Ulster di incamminarsi finalmente verso una discreta crescita economica e migliori condizioni di vita per tutti i suoi cittadini: un equilibrio raggiunto grazie a un ingegnoso sistema di condivisione e bilanciamento dei poteri.

Il Nobel per la Pace

Alcuni mesi dopo l’Accordo del Venerdì Santo, Hume riceve il Premio Nobel per la Pace assieme al leader unionista David Trimble.

Alla cerimonia di assegnazione del premio, Hume racconta un aneddoto molto significativo che risale al 1979, poco dopo essere stato eletto al Parlamento europeo.

Quel giorno sta facendo una passeggiata sul ponte che collega la città francese di Strasburgo con quella tedesca di Kehl. A un certo punto, si ferma proprio a metà e pensa a una cosa che lo fa sorridere: se fosse stato lì trent’anni prima, al termine della Seconda Guerra Mondiale, e avesse dichiarato che trent’anni dopo ci si sarebbe ritrovati tutti insieme in una nuova Europa, senza più conflitti e lavorando per interessi comuni, l’avrebbero spedito direttamente in manicomio.

Invece questa utopia, apparentemente irrealizzabile, è diventata realtà.

Nella visione di Hume, tutti i conflitti riguardano le differenze, che si tratti di razza, religione o nazionalità:

“La differenza rappresenta il fondamento dell’umanità, rappresenta un incidente di nascita e quindi non dovrebbe mai essere fonte di odio e di conflitto. La risposta alla differenza è rispettarla. In questo risiede un fondamentale principio di pace: il rispetto per la diversità”.

John Hume, la personalità più eminente nella storia d’Irlanda

Dopo il Nobel, Hume riceve una lunga serie di prestigiosi riconoscimenti, tra cui il premio Gandhi e il premio Martin Luther King; nel 2012, Papa Benedetto XVI lo nomina Cavaliere Comandante dell’Ordine Pontificio di San Gregorio Magno. In un sondaggio pubblico del 2010 dell’emittente televisiva irlandese RTÉ, gli spettatori lo giudicano la più grande personalità nella storia dell’Irlanda.

Alla sua morte, il 3 agosto 2020, l’ex leader laburista e primo ministro Tony Blair lo celebra come “un titano politico, un visionario che si rifiutava di credere che il futuro dovesse essere uguale al passato”. Mentre il Dalai Lama lo ricorda così: “La profonda convinzione di John Hume nel potere del dialogo e dei negoziati per risolvere i conflitti era incrollabile… La sua costante perseveranza è un esempio da seguire per tutti noi”.

*Il testo di questo articolo, con alcune modifiche, è tratto dal mio libro La pace in Irlanda del Nord, edito da RCS-La Gazzetta dello Sport.

(Photo credits: Óli Gneisti/Wikipedia)

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